Trasformare un lievito in una fabbrica di farmaci

Microfotografia di Saccharomyces cerevisiae
Microfotografia di Saccharomyces cerevisiae

Grazie a una serie di modifiche genetiche, un gruppo di ricercatori è riuscito a riprogrammare il macchinario cellulare del comune lievito S. cerevisae in modo da produrre specifiche sostanze da usare a scopo terapeutico per trattare disturbi intestinali e malattie neuromuscolari, compreso il Parkinson

Ricavare farmaci dalle piante. Questa attività accompagna l’umanità da tempi immemorabili, ma ora gli antichi rimedi fitoterapici possono essere ottenuti con l’aiuto della biotecnologia, riprogrammando geneticamente i macchinari cellulari dei lieviti.

Un esempio dei risultati che si possono ottenere con questo approccio è quello illustrato ora  sulle pagine di “Nature” dai ricercatori dell’Università di Stanford, negli Stati Uniti, guidati da Christina Smolke: la sintesi di iosciamina e scopolamina, due alcaloidi che possono trovare applicazione in medicina.

Smolke e colleghi si sono concentrati su una famiglia di composti chimici noti come alcaloidi tropanici, naturalmente presenti in alcune piante, in cui hanno la funzione di difesa dagli insetti e dagli animali. Queste sostanze hanno anche un’elevata affinità per un recettore cellulare del sistema nervoso dei mammiferi, e sugli esseri umani hanno diversi effetti curativi o di alterazione dello stato psichico, ragion per cui sono state usate da secoli in diverse culture del mondo.

Appartiene alla categoria degli alcaloidi tropanici la cocaina, ricavata dalla pianta della coca, le cui foglie venivano masticate dai nativi delle Ande per sopprimere la fame, resistere alla fatica, curare i disturbi gastrointestinali e per scopi ricreativi. Un altro esempio è l’atropina, ricavata da alcune specie di Solanacee, come Atropa belladonna, i cui estratti erano utilizzati storicamente per dilatare le pupille a fini estetici e sono ancora usati allo stesso scopo in oculistica.

Ma produrre queste utili sostanze con i metodi tradizionali è un’operazione lunga e complessa, da qui l’idea di ingegnerizzare i lieviti per farne dei biolaboratori in miniatura. Smolke e colleghi sono riusciti a introdurre 34 modifiche genetiche nel DNA del comune lievito Saccharomyces Cerevisiae, che si usa nella produzione alimentare, per indurlo a produrre, due alcaloidi tropanici, la iosciamina e la scopolamina partendo da semplici zuccheri e amminoacidi.

Queste due sostanze sono in grado di bloccare l’azione del neurotrasmettitore acetilcolina, e vengono usate nella pratica clinica per trattare le nausea e altri problemi gastrointestinali, l’eccesso di secrezioni e alcuni disturbi neuromuscolari, compreso il Parkinson.

“La carenza di farmaci a cui stiamo assistendo in occasione della crisi COVID-19 ci fa capire perché abbiamo bisogno di modi nuovi e più affidabili per procurarci questi rimedi basati sulle piante, che richiedono mesi o anni per crescere e provengono da pochi paesi, dove il cambiamento climatico, i disastri naturali e le questioni geopolitiche possono interrompere le forniture”, ha spiegato Smolke.

Le quantità di sostanze sintetizzate dai lieviti sono ancora minime, non certo paragonabili a quelle di un’industria farmaceutica, osservano in un articolo di commento José Montaño López e José L. Avalos, dell’Università di Princeton. Ma si tratta di una dimostrazione importante delle potenzialità di metodi basati sullo sfruttamento di microrganismi per arrivare un giorno a una produzione di sostanze più rapida, economica e sostenibile.

Dott. Dario Sannino

/ 5
Grazie per aver votato!