Tecnologia mRNA: una storia iniziata 30 anni fa

Centinaia di scienziati hanno lavorato sull’RNA messaggero per decenni, costruendo passo dopo passo le conoscenze che – in pochi mesi – hanno portato al vaccino per contrastare la pandemia. 

Una delle frasi sentite più spesso in questi ultimi mesi è che i vaccini a RNA sono nuovi e, di conseguenza, non se ne conosce bene il meccanismo di funzionamento e gli effetti. La storia della ricerca sull’RNA è però lunga e non è di certo iniziata con la pandemia di COVID-19.

Il dott. Dario Sannino prova a dare una panoramica degli step che hanno portato all’attuale utilizzo di questa tecnologia per il Covid-19.

L’RNA messaggero (mRNA), protagonista dell’attuale strategia vaccinale per combattere SARS-Cov2, è stato scoperto più di mezzo secolo fa, nel 1961, e la ricerca su come l’mRNA potrebbe essere consegnato all’interno delle cellule è stata sviluppata negli anni ’70. Vent’anni dopo si iniziò a pensare di usare l’mRNA a scopo terapeutico.

Ma perché è servita la pandemia globale di COVID-19 perché il primo vaccino a mRNA fosse portato sul mercato?

Lo sviluppo di vaccini contro gli agenti patogeni infettivi è il mezzo più efficiente per contenere e prevenire le epidemie.

Tuttavia, gli approcci convenzionali hanno ampiamente fallito nel produrre vaccini efficaci contro virus che causano infezioni croniche o ripetute, come l’HIV-1, il virus herpes simplex e il virus respiratorio sinciziale.

Inoltre, la lentezza nello sviluppo e nell’approvazione dei vaccini è inadeguata a rispondere al rapido emergere delle malattie virali, come dimostrato dalle epidemie dei virus Ebola e Zika avvenute tra il 2014 e il 2016.

Lo sviluppo di piattaforme vaccinali più potenti e versatili è cruciale e i risultati degli studi preclinici hanno creato la speranza che i vaccini a mRNA soddisfino i requisiti di un vaccino clinico ideale: un profilo di sicurezza favorevole, versatilità e rapidità nella progettazione e produzione su larga scala.

L’RNA MESSAGGERO

Negli ultimi mesi, sui giornali di tutto il mondo, sono usciti articoli che ponevano l’attenzione sulla rapidità con cui sono stati sviluppati i vaccini contro l’infezione da SARS-CoV-2, instillando a volte anche il dubbio sulla loro efficacia e sicurezza.

Ma nella scienza non esistono successi “improvvisi”: le scoperte – e i successi – si basano su decenni di ricerca scientifica e arrivano dopo lunghi percorsi, spesso travagliati e pieni di imprevisti.

La storia dietro ai vaccini a mRNA coinvolge centinaia di ricercatori nel mondo, molti anni di studi e investimenti sia pubblici che privati. Ciascuno di questi fattori ha contribuito a creare una solida base su cui, nel minor tempo possibile, è stato possibile sviluppare i primi vaccini basati su mRNA per fermare la diffusione della COVID-19.

Ma prima di essere oggetto di interesse della ricerca sui vaccini, l’mRNA è un messaggero fondamentale per la nostra sopravvivenza.

L’organismo umano deve produrre continuamente proteine per mantenersi in vita e rispondere adeguatamente agli stimoli esterni e interni. Il codice  genetico necessario per la costruzione delle proteine è custodito nel DNA ma è l’mRNA la molecola che trasmette il messaggio a tutte le cellule dell’organismo su quali proteine produrre e quando

Utilizzando RNA sintetici si potrebbero quindi trasmettere informazioni specifiche all’interno delle cellule senza andare a modificare le istruzioni del DNA: questa è l’idea su cui si basa l’utilizzo dell’mRNA a scopo terapeutico. Si tratta quindi di trasformare le cellule in una “fabbrica” di farmaci su richiesta, sfruttando le informazioni trasmesse tramite l’RNA messaggero prodotto in laboratorio.

DECENNI DI RICERCA 

Stando a un articolo pubblicato su Nature Reviews Drug Discovery nel 2018, in quegli anni la ricerca di base e clinica sui vaccini a mRNA era già in piena espansione. Erano già stati pubblicati decine di rapporti preclinici e clinici che dimostravano l’efficacia di queste piattaforme per un’ampia varietà di patogeni infettivi. 

Mentre la maggior parte dei primi lavori sui vaccini a mRNA si era concentrata su applicazioni contro il cancro, la comunità scientifica si è poi spostata verso le infezioni, per cui è stata dimostrata la potenza e la versatilità dell’mRNA. 

I primi anni di ricerca sull’mRNA sono stati segnati da molto entusiasmo per la tecnologia, ma anche da una serie di difficili sfide tecniche e limiti biologici che hanno richiesto molta innovazione tecnologica per essere superati

L’ostacolo più grande è stato superare la degradazione del mRNA. Sebbene il DNA e l’RNA siano molecole molto simili, entrambe formate da acidi nucleici, si differenziano per la struttura.

Come è noto, il DNA è una molecola caratterizzata da una struttura a doppia elica, che è molto stabile. L’mRNA, invece, è una molecola a singolo filamento ed è molto più fragile: il rischio è che venga rapidamente degradato – in circa 4 ore nelle cellule umane – prima che possa “consegnare” il suo messaggio

La soluzione a questo problema è arrivata dai progressi nelle nanotecnologie grazie allo sviluppo di minuscole goccioline di grasso – chiamate  nanoparticelle lipidiche – in grado di avvolgere l’mRNA in una “bollicina”, che permette l’ingresso nelle cellule. 

Nel caso della COVID-19, i vaccini contengono le istruzioni – sotto forma di mRNA sintetico – per produrre una versione modificata della proteina spike del SARS-CoV-2 (punteruolo rosso raffigurato in immagini che rappresentano il coronavirus), fondamentale per l’ingresso del virus nelle cellule.

Non contenendo le informazioni per la produzione del virus completo, il vaccino non può causare l’infezione vera e propria, ma la proteina spike prodotta dalle cellule a partire dall’mRNA introdotto è in grado di attivare il sistema immunitario umano, che risponde attivamente e produce anticorpi

Ma facciamo un ulteriore passo indietro. Dopo la sintesi dell’mRNA sintetico avvenuta nei primi anni ’80, un esperimento storico è stato quello eseguito da Robert Malone nel 1987.

Come raccontato nell’articolo “The tangled historyof mRNA vaccines” pubblicato su Nature a settembre, egli mescolò filamenti di RNA e goccioline di grasso, che poi vennero messe a contatto con le cellule, le quali assorbirono l’mRNA e iniziarono a produrre la proteina di interesse.

Purtroppo, per molti anni la molecola di RNA è stata considerata troppo instabile e la sua gestione troppo costosa per applicazioni terapeutiche concrete. Di conseguenza, negli anni ’90 e 2000 le aziende farmaceutiche scelsero di investire altrove per la produzione di vaccini, lasciando l’idea di un vaccino a base di RNA in un cassetto.

Non tutti però abbandonarono la ricerca sugli mRNA a scopo terapeutico. Un esempio è la biologa ungherese Katalin Karikò – pioniera dell’RNA messaggero (e, secondo molti esperti, possibile candidata ad un futuro premio Nobel per la medicina) e oggi vicepresidente senior dell’azienda BioNTech – che per prima ha intuito e creduto nelle potenzialità di questa molecola come farmaco.

Dopo aver trascorso gli anni ’90 a cercare il modo di trasformare l’mRNA in una terapia – e aver ricevuto un rifiuto dietro l’altro alle sue richieste di finanziamenti (con anche una retrocessione e un taglio di stipendio per continuare la ricerca alla Università della Pennsylvania) – Karikò ha iniziato a lavorare con l’immunologo Drew Weissman per sviluppare un vaccino a mRNA per l’HIV. 

Con i primi studi preclinici, i ricercatori hanno però osservato che gli mRNA testati causavano massicce reazioni infiammatorie nei modelli animali. Nel 2005 hanno scoperto che era possibile fermare questa reazione modificando uno dei nucleotidi che compongono l’mRNA: l’uridina, ovvero un uracile legato a una molecola di uno zucchero. Riorganizzando i legami chimici di questa molecola e trasformandola nell’analogo pseudouridina, il problema sembrava superato.

Ovviamente, senza le nanoparticelle lipidiche non si sarebbe potuti arrivare allo stesso risultato.

Dalla fine degli anni ’90 il biochimico Pieter Cullis, dell’University of British Columbia in Canada, ha studiato e messo a punto il metodo per veicolare nelle cellule piccoli filamenti di acidi nucleici in grado di silenziare i geni.

Queste ricerche trovano già applicazione pratica: un esempio è il farmaco patisiran, la prima terapia basata su RNA interference approvata al mondo e autorizzata anche in Italia per il trattamento dei pazienti affetti da amiloidosi ereditaria da transtiretina (hATTR)

Questi risultati hanno fatto da perno per lo sviluppo di un sistema di consegna dell’mRNA tramite le nanoparticelle lipidiche, messe a punto per essere adatte allo scopo, stabili e facilmente conservabili. 

L’ENTRATA IN CAMPO DELLE AZIENDE FARMACEUTICHE

Nell’articolo di Nature si legge che le grandi aziende farmaceutiche sono entrate nel campo dell’mRNA alla fine degli anni 2000

BioNTech è stata lanciata sul mercato nel 2012 e Moderna, fondata nel 2010, nel 2015 aveva raccolto più di un miliardo di dollari per provare a sfruttare l’mRNA per indurre l’organismo a “produrre i propri farmaci”, correggendo definitivamente le malattie causate dall’assenza o dalla carenza di proteine.

Quest’ultimo ambizioso obiettivo è stato però poi messo da parte e l’azienda si è focalizzata sui vaccini: all’inizio del 2020 Moderna aveva già presentato 9 possibili candidati per malattie infettive. Nessun risultato strabiliante, ma uno di questi era già passato a una fase di sperimentazione clinica più ampia.  

Quando SARS-CoV2 ha cominciato a destare preoccupazioni a livello globale, Moderna ha agito molto velocemente e ha creato un prototipo di vaccino nei giorni in cui la sequenza del genoma del virus era disponibile online. L’azienda ha poi collaborato con il National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID) degli Stati Uniti per condurre studi preclinici sui topi e avviare studi clinici sull’uomo, il tutto in meno di dieci settimane. 

BioNTech, nel marzo 2020, ha stretto una partnership con l’azienda farmaceutica Pfizer, e i trial si sono poi mossi a un ritmo record, passando dai primi test sugli esseri umani all’autorizzazione in emergenza in meno di otto mesi. 

Tempistiche che sono state rese possibile non per aver saltato degli step fondamentali (come molte fonti di disinformazione hanno dichiarato), ma grazie al bagaglio scientifico e tecnologico acquisito negli anni e per il fatto che sulla pandemia sono state puntate tutte le risorse possibili

Entrambi i vaccini a RNA autorizzati negli Stati Uniti ed Europa utilizzano mRNA modificato, contenente sequenze che codificano una forma della proteina spike della SARS-CoV-2 che adotta una forma più adatta a indurre l’immunità protettiva, formulato in nanoparticelle lipidiche. 

Grazie a decenni di ricerca e innovazione, la tecnologia dei vaccini a mRNA era pronta e con la pandemia ha avuto il suo momento per dimostrare di essere sicura ed efficace. Il vaccino COVID-19 di Pfizer è stato il primo prodotto a mRNA ad ottenere la piena approvazione della Food and Drug Administration negli Stati Uniti

Al di là dei brevetti e delle conseguenti diatribe di natura economica, sociale ed etica, le aziende del settore stanno investendo per sviluppare vaccini a mRNA per proteggere da altri virus respiratori e non solo. 

Trent’anni fa pochissime persone avrebbero scommesso sull’mRNA e oggi, dopo un lungo e non sempre facile percorso, questa molecole sta facendo la differenza.

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