Mix di vaccini Covid-19: cosa dobbiamo sapere?

Il cosiddetto ‘crossing vaccinale’ è una cosa che la Germania fa da due mesi, che anche la Francia e la Spagna fanno da tempo: è una procedura che ha dato buoni risultati, non sono invenzioni, ma evidenze e studi scientifici.

Il chiarimento del dott. Dario Sannino sembra fugare i dubbi di chi è scettico di fronte alla cosiddetta vaccinazione eterologa, soprattutto coloro con meno di 60 anni che hanno fatto la prima dose con il vaccino a vettore virale AstraZeneca e che adesso dovranno fare la seconda dose con un vaccino a mRNA come Pfizer o Moderna, come stabilito l’11 giugno dal Ministero della Salute  in seguito alle indicazioni ricevute dal Comitato Tecnico Scientifico. 

AIFA ha confermato l’orientamento del Governo comunicando con proprio parere di aver approvato il “mix” nella riunione del 13 giugno: secondo l’Agenzia Italiana del Farmaco «si ritiene che i dati disponibili possano supportare l’utilizzo del vaccino Pfizer e, per analogia, del vaccino Moderna, come seconda dose per completare un ciclo vaccinale misto, nei soggetti di età inferiore ai 60 anni che abbiano già effettuato una prima dose di vaccino AstraZeneca»”. 

Nel dettaglio, come è stata presa questa decisione che contraddirebbe gli attuali “bugiardini” che invece prescrivono che si debba utilizzare lo stesso vaccino per entrambe le dosi perché gli effetti e l’efficacia della combinazione tra vaccini diversi non sono noti? Di che tipo di studi si tratta? Che cosa dicono questi studi? 

Il dott Sannino continua: “AIFA ne indica due, attualmente in corso, pubblicati rispettivamente il 12 maggio ed il 27 maggio: si tratta dello studio Com-COV condotto in Inghilterra dall’Oxford Vaccine Group, inviato a The Lancet, e dello studio CombiVacS condotto in Spagna da un consorzio di ricerca guidato dall’Instituto de Salud Carlos III di Madrid presentato a Nature

Si tratta per entrambe di studi incompleti non sottoposti a “peer review”, quindi i risultati sono preliminari“. 

In ambedue i ricercatori hanno notato una risposta del sistema immunitario paragonabile o in certi casi maggiore rispetto a chi ha ricevuto una o due dosi di AstraZeneca o Pfizer, ma nello studio inglese è stato registrato un sensibile aumento degli effetti collaterali lievi e moderati nel breve termine comuni e ormai noti per i cicli monodose, come febbre, tremori, dolori muscolari e articolari risolti con l’assunzione di paracetamolo.

Non è stato comunque registrato alcun caso di ospedalizzazione. Lo studio è stato condotto però su appena 830 partecipanti, tutti di età uguale superiore ai 50 anni, (tra i 50 e i 69, età media 57) per cui i risultati attuali sono solo parzialmente sovrapponibili alla coorte di italiani under 60 che riceveranno Pfizer o Moderna dopo AstraZeneca.

Gli stessi ricercatori britannici ammettono: «In attesa della disponibilità di un set di dati di sicurezza più completo e dei risultati di immunogenicità per le schedulazioni prime-boost eterologhe (da segnalare a breve), questi dati suggeriscono che le due schedulazioni vaccinali eterologhe in questo studio potrebbero presentare alcuni svantaggi a breve termine». In corso vi sono le valutazioni degli effetti delle combinazioni AstraZeneca-Moderna e AstraZeneca-Novavax con lo studio Com-Cov2, che osserverà le reazioni immunitarie e avverse su un gruppo di 1.050 soggetti maggiormente diversificati per etnia.  

Lo studio spagnolo ha invece preso in considerazione i minori di 60 anni, sperimentando la vaccinazione eterologa su un gruppo ancora più ristretto: 663 persone con età media di 44 anni e composto al 56% da donne, di cui 232 che ancora non hanno ricevuto un richiamo. Secondo quanto annunciato, a Madrid hanno rilevato un incremento degli anticorpi paragonabile alla somministrazione di due dosi dello stesso vaccino e come effetti collaterali sistemici più comuni entro i sette giorni dalla somministrazione della seconda dose cefalea (44% di tutti i casi), malessere (41%), brividi (25%), lieve nausea (11%), lieve tosse (7%) e febbre (2,5%) con un’incidenza simile a quella delle vaccinazioni omologhe. Nessun paziente è dovuto ricorrere a cure ospedaliere. I risultati definitivi su un periodo più significativo si conosceranno però solo tra un anno. 

«Per quanto riguarda l’interpretazione dei risultati di questo studio, in relazione al possibile confronto con altri studi clinici, è necessario essere cauti, poiché le metodologie e i gruppi di persone trattate non sono sempre identici», sottolineano da Madrid. 

Una sperimentazione simile è in corso anche in Germania presso l’Università del Saarland, dove la combinazione di vaccini ad adenovirus ed mRNA è stata sinora osservata su un totale di 250 pazienti: in questo caso la risposta immunitaria dei pazienti secondo il primo annuncio è stata superiore al ciclo monovaccino con AstraZeneca e paragonabile alle due dosi di Pfizer, anche se «Prima di pubblicare i loro risultati, i ricercatori intendono valutare i loro dati rispetto a una serie di aspetti, tra cui il genere e l’età partecipanti e per determinare quale combinazione di vaccini ha prodotto il maggior numero di effetti», si legge in una nota dell’ateneo tedesco che non contiene dati. 

Indagini paragonabili sono in corso in USA, Canada, Cina ed anche in Italia, ma ancora non è stato presentato alcun dato preliminare né sull’efficacia né sulla sicurezza delle combinazioni. I ricercatori che conducono questi studi sottolineano anche che risulteranno utili per il futuro, quando si dovrà decidere se procedere con le sinora eventuali terze dosi e successive: pare infatti che i sieri ad adenovirus tendano a perdere efficacia dopo somministrazioni ripetute, mentre i vaccini ad RNA messaggero diano via via risposte sempre più forti del sistema immunitario. 

Alla luce di questo nuovo cambiamento di rotta su AstraZeneca la campagna vaccinale in tutto il paese si sta riorganizzando, dando la possibilità di scegliere se proseguire o meno con il preparato anglo-svedese o procedere con l’alternativa Pfizer o Moderna.

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