Le ultime novità su vaccini e terapie anti-Covid, tra buone e cattive notizie

Nelle ultime ore le notizie sul Coronavirus, dai numeri del contagio alle novità sui vaccini, si susseguono. Ne abbiamo parlato con il dott. Dario Sannino. Eccone una selezione

Vaccini: notizie positive

Sul fronte vaccino arrivano aggiornamenti che fanno ben sperare. Dopo qualche intoppo (ora però la sperimentazione è ripresa anche negli Stati Uniti), il vaccino anti-Covid di Astrazeneca e dell’università di Oxford (quello che se tutto andrà bene verrà prodotto anche in Italia) sta dando buoni risultati non solo nei giovani adulti (18-55 anni), ma anche nei meno giovani.

Come anticipato dal Financial Times e poi confermato sia dall’azienda che dai laboratori britannici, durante la sperimentazione sugli over 55 il vaccino ha prodotto una robusta reazione immunitaria e la sua reattogenicità (cioè la capacità di indurre effetti avversi) è risultata addirittura inferiore a quella registrata nei giovani adulti. Il vaccino, comunque, non è ancora pronto: i risultati degli studi clinici sono attesi per la fine dell’anno e – scrive Astrazeneca in una nota – verranno pubblicati su riviste scientifiche peer reviewed.

Se tutto procede più che liscio, ha commentato a Adnkronos Piero Di Lorenzo, presidente dell’Irbm di Pomezia che dovrebbe produrre in Italia il candidato vaccino Oxford-AstraZeneca, “se si arriverà alla fine della sperimentazione di fase 3 entro dicembre senza che si verifichino casi avversi, in Italia entro fine d’anno arriveranno i primi 2-3 milioni di dosi di vaccino”. Più realisticamente potrebbe essere lanciato sul mercato entro la prima metà del 2021.

Anticorpi monoclonali: notizie positive e negative

Ultimamente l’attenzione sugli anticorpi monoclonali si è alzata tantissimo. A richiamarla sono state di certo l’infezione di Donald Trump e le sue terapie per guarire da Covid-19 (tra cui appunto una massiccia dose di anticorpi monoclonali), ma anche il recente intervento alla trasmissione televisiva Che tempo che fa di Rino Rappuoli, esperto mondiale di vaccini e responsabile della attività di ricerca e sviluppo esterna presso GlaxoSmithKline (GSK) Vaccines di Siena.

Gli anticorpi monoclonali, sostiene Rappuoli, potrebbero presto traghettarci fuori dall’emergenza in attesa delle conferme sui candidati vaccino anti Covid-19. Possono essere usati in due modi, spiega: se somministrati a persone sane conferiscono immunità entro poche ore e proteggono potenzialmente per 6 mesi; dati a persone ammalate, invece, possono aiutare a sconfiggere l’infezione.

Il progetto di Rappuoli e del suo team si sta per approcciare ora alla sperimentazione clinica e se gli esiti saranno positivi potremmo avere una soluzione made in Italy per marzo del prossimo anno.

Ma diverse grosse company (Regeneron e Eli Lilly) si sono già tuffate a capofitto per sviluppare questo approccio alla lotta contro il coronavirus e hanno già raggiunto dei risultati nell’essere umano, tant’è che Regeneron (la farmaceutica che ha fornito il cocktail di anticorpi monoclonali somministrato a Trump) ha chiesto alla Fda l’autorizzazione all’uso di emergenza per i casi gravi di Covid-19.

Lo stesso ha fatto Eli Lilly per il proprio prodotto, ma la sperimentazione sulle persone ospedalizzate ha subito una battuta d’arresto perché secondo gli esperti del comitato di valutazione indipendente il suo impiego non sta dando vantaggi significativi ai pazienti. In una nota dell’azienda, però, si legge che il governo degli Stati Uniti sta continuando uno studio separato per testare gli anticorpi in pazienti con forme di Covid-19 da lievi a moderatamente, per verificare se possano prevenire il ricovero in ospedale e l’insorgenza di forme gravi.

Immunità: notizie negative

Le persone che hanno sviluppato spontaneamente anticorpi contro Sars-Cov-2 per quanto tempo sono protette? Questa è una domanda a cui è davvero difficile rispondere. La speranza era che non ci si potesse re-infettare se non dopo un lungo periodo, ma realtà si è messa di mezzo. E ora un nuovo studio svolto in Gran Bretagna dipinge un quadro complesso, da cui i ricercatori deducono che anche chi ha già contratto il coronavirus può infettarsi di nuovo, che la famosa immunità di gregge è sostanzialmente impossibile, ma che la durata effettiva della protezione conferita dagli anticorpi varia a seconda delle fasce di popolazione.

Lo studio dell’Imperial College e Ipsos Mori è partito il 20 giugno, quando la stretta nel Regno Unito ha cominciato ad allentarsi, e a soli 3 mesi di distanza ha messo in luce come su 365mila persone coinvolte quelle positive agli anticorpi contro Sars-Cov-2 siano passate dal 6% al 4,4% − un calo del 26,5%. Questo il dato generale, ma più nel dettaglio la ricerca indica che nelle persone sierologicamente positive ma asintomatiche gli anticorpi durano meno e hanno maggiore probabilità di essere ricontagiate rispetto a chi è guarito da Covid-19. Ancora, la protezione scema in tutte le fasce d’età ma il declino è più rapido negli anziani: nei tre mesi di osservazione la quota di persone over 75 anni con gli anticorpi è diminuita del 39%, mentre è scesa del 14,9 % tra i 18 e i 24 anni.

A cura di

Dario Sannino

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