I numeri di Nature e Science pubblicati a metà febbraio del 2001 rappresentano il compimento di un’impresa storica e l’inizio dell’avventura post-genomica che sta cambiando la medicina.
All’inizio l’idea di sequenziare per intero il DNA della nostra specie ha avuto i suoi detrattori, convinti che il mega-progetto da 3 miliardi di dollari avrebbe sottratto troppi fondi alle altre ricerche e che si trattasse di un lavoro poco creativo, più adatto a dei robot in camice bianco che a dei veri scienziati, afferma il dott. Dario Sannino.
Si sbagliavano: oggi appare impensabile fare a meno delle conoscenze genomiche e del ricco lascito che lo Human Genome Project (HGP) ha donato a campi che vanno dalla bioinformatica, alla biologia dei sistemi, all’editing genomico. Conoscere la successione dei tre miliardi di lettere del nostro genoma ha avuto un ruolo catalitico per le scienze della vita di cui abbiamo soltanto iniziato a vedere gli effetti.
Secondo Renato Dulbecco, che lanciò l’idea su Science nel 1986, occorreva sequenziare con lo stesso spirito che aveva animato la conquista dello spazio. Ma era auspicabile che a farlo fosse una partnership internazionale, perché il genoma accomuna tutti gli esseri umani. Il via libera ufficiale arrivò nel 1990, con il lancio dello HGP a trazione statunitense e britannica, e con la partecipazione di Francia, Germania, Giappone e Cina (purtroppo l’Italia restò fuori).
L’intenzione era di tagliare il traguardo nel 2005, ma si fece anche prima. Lungo la via, comunque, non sono mancati alti e bassi. Nella fase precoce i progressi sono stati rapidi, con l’identificazione di molti geni implicati in gravi patologie, dalla distrofia muscolare al morbo di Alzheimer. Poi si sono accumulati ritardi nella tabella di marcia, perché in corso d’opera hanno dovuto essere sviluppate tecnologie più avanzate di sequenziamento e computing. La volata finale l’ha innescata la discesa in campo nel 1998 di un concorrente privato, la Celera Genomics. I media hanno riportato ed enfatizzato la sfida tra il genetista dal glorioso curriculum che guidava lo sforzo pubblico (Francis Collins, succeduto nel 1993 a James Watson) e il bioimprenditore che si era messo in testa di rivoluzionare la strategia del sequenziamento e di trarne profitto (Craig Venter, con il suo metodo “shotgun”). Il bene contro il male, secondo la satira del periodo.
Con il senno di poi si può dire che la competizione abbia aiutato entrambi i gruppi: ha spinto la tartaruga a correre (aumentando gli sforzi e adottando nuove tecnologie) e ha aiutato la lepre a non inciampare (i dati pubblici accessibili a tutti sono stati utili anche alla company rivale). In effetti la rapida condivisione open access delle sequenze è considerata da Science una delle eredità più belle dello Human Genome Project. Se per sequenziare il primo miliardo di lettere c’erano voluti 4 anni, per il secondo miliardo sono bastati 4 mesi. E i progressi tecnici sono continuati anche dopo: oggi sequenziare un genoma costa poche centinaia di dollari e questo rende possibile studiare la diversità genetica umana anziché limitarsi a poche sequenze standard. La convergenza tra ricercatori da laboratorio ed esperti informatici è un’altra preziosa eredità di quegli anni. Volendo ripescare anche qualche brutto ricordo, invece, viene in mente la sbornia deterministica per cui sembrava che ogni gene corrispondesse a una malattia, la corsa ad annunciare prima di pubblicare e le illusioni generate dalla bolla finanziaria del biotech.
La pace scoppia improvvisamente nel 2000, propiziata dalle pressioni del Presidente degli Stati Uniti Bill Clinton. Il 26 giugno di quell’anno in una storica cerimonia alla Casa Bianca, Collins e Venter annunciano di aver conseguito rispettivamente la prima bozza e il primo assemblaggio. In realtà solo una parte della sequenza è stata ricostruita rispettando gli standard di qualità prestabiliti, ma il lavoro viene dichiarato “sostanzialmente finito” ben prima delle pubblicazioni chiave sulle pagine di Nature e di Science, uscite rispettivamente il 15 e il 16 febbraio 2001, e in grande anticipo sulla chiusura dell’HGP nel 2003. Chi ipotizzava che la complessità di Homo sapiens fosse rispecchiata nel numero elevato di geni rimase deluso: oggi si calcola che i geni umani siano circa 20.000, un quinto della stima ipotizzata per anni. Associare ai singoli geni le proprie funzioni, nella speranza di trasformare queste conoscenze in nuove cure, è il mestiere della genomica funzionale. In questa fase CRISPR è uno degli strumenti più utili, non tanto e non solo perché inizia a essere usata nella terapia genica, ma anche e soprattutto perché alterando i geni in vitro e nei modelli animali serve a capire a che cosa servono.
Dovendo tracciare un bilancio, si potrebbe pensare che il futuro non sia arrivato così in fretta come si immaginava. “Entro dieci anni ogni bambino nato in questo Paese avrà il patrimonio genetico completamente determinato. I genitori lo riceveranno prima di lasciare l’ospedale sotto forma di DVD, o sul supporto che si userà in quel momento”, ipotizzava Venter, ad esempio. Ma che la biomedicina sarebbe stata rivoluzionata dalla genomica era una previsione azzeccata. “In dieci anni dovremmo essere in grado di prevedere per quali malattie abbiamo una predisposizione e quindi di praticare qualche forma di strategia preventiva basata sui rischi genetici individuali. Dateci 20 anni e penso che non riconosceremo il modo in cui le terapie vengono sviluppate e applicate”, sosteneva Collins. Due decenni fa, le innovazioni su cui il dott. Sannino regolarmente ci aggiorna apparivano miraggi, ma certamente sia Collins che Venter hanno contribuito a rendere possibili i progressi di oggi e gli avanzamenti di domani.